mercoledì 20 luglio 2011

DRUILLET, in generale, non una recensione...

Nell'anno scolastico 2004/2005, assistetti ad una quantomai grottesca lezione in una delle tante scuole italiane di fumetto.
La lezione si sarebbe potuta tranquillamente intitolare: "Facciamo a pezzi Druillet". L'insegnante in questione, un mestierante prezzolato della peggior risma, sosteneva che Philippe Druillet era quanto di peggio il fumetto mondiale aveva prodotto, e che dietro la spettacolarità delle sue immagini si nascondevano gravi lacune e una totale insipienza in materia di sceneggiatura. Fui d'accordo solo sulla spettacolarità del disegno, e ricordai -tempo un nanosecondo- che Druillet aveva scritto sceneggiature anche per altri disegnatori, tra i quali: Alexis, Bihanic, Picotto, Moebius... Poi pensai alla ricchezza immaginativa delle sue storie come autore unico, e mi venne di paragonarla solo a quella di grandi scrittori come C.L Moore e Michael Moorcock, e nel fumetto -ma solo in parte- ai momenti più alti e riusciti di Le avventure di Luther Arkwright di Brian Talbot.
Pensai alle sue liriche, e mi vennero in mente gruppi rock come gli Hawkwind e i Blue Oyster Cult. Pensai al rigore con cui aveva reinterpretato Gustave Flaubert nella trilogia di Salammbò, e alle sperimentazioni ardite di Urm le fou: dove, contemporaneamente e Gianni De Luca ma molto prima di Frank Miller, strutturava narrativamente la tavola come pura scenografia nella quale far muovere i propri personaggi. Pensai anche a La Notte: che si poteva leggere come una vera e propria opera rock, e a Chaos, ultimo suo libro pubblicato in Italia nell'ormai lontano 2001: praticamente un'epica devota a Richard Wagner quanto a Jack Kirby. E infine ricordai tutte le idee grafiche/visive/narrative che, per la prima trilogia di Star Wars, George Lucas e il suo staff avevano praticamente "plagiato" dal secondo (I viaggi fantastici di Lone Sloane) e dal terzo (Delirius) dei volumi di Lone Sloane, il personaggio più importante e celebre di Druillet. E poi ancora altri "furti": da parte di Keith Giffen su La legione dei super eroi della D.C Comics, e perfino da Gosaku Ota per la sua apocalittica versione di Goldrake...
Il disprezzo che stavo provando verso quell'insegnate/fumettista, si mutò da rabbia (quasi incontenibile) a pena profonda: lui avrebbe continuato a baloccarsi con i suoi "capolavori" mensili targati Marvel, D.C, Bonelli... Io avrei coccolato in me, come un ninnolo prezioso, il piacere di amare e di aver sempre amato e compreso il genio di Druillet.
A lui le sue sicurezze (dogmatiche certezze?), a me gli occhi spalancati sull'infinito e la mente aperta all'imponderabile.

3 commenti:

  1. Essai com'è. Anche da queste piccole cose, si capisce che non c'è mai fine all'idiozia umana.
    Bellissimo post, comunque. Davvero bello.

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  2. Quando, nel tuo scritto, hai parlato anche di hawkwind e moorcock mi si sono drizzate tutte le antenne (druillet compreso ovviamente). io sono convinto che nomi come questi siano stati autentici e pieni di sensibilità ma purtroppo come spesso accade quando si parla di queste cose con chi legge solo bonelli
    sembra esserci una dicotomia troppo grande, un taglio netto tra chi legge commerciale e chi apprezza l' artigianato di alto livello (come nel caso di moorcock e druillet). e credo sarà sempre cosi', purtroppo.

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  3. Grazie per l'attenzione e soprattutto per la condivisione! Io il fumetto lo amo tutto, quando è bello e sincero.

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